venerdì 11 luglio 2025

ROMANZO "Con il tempo capirai..." APPARENZA E REALTA'

APPARENZA E REALTA' 

Ma le emozioni che le aveva suscitato Pietro, pur non bello, dai lineamenti irregolari, non riusciva a suscitargliele Giuliano, carino, fine e dolce come era.
Cercò di leggere in sé stessa: forse era per l'età così vicina alla sua? Le piacevano ragazzi più grandi, più maturi.. Ma Pietro aveva solo diciassette anni.. Dunque c'era un "quid", qualcosa di invisibile suscitato dai modi, dall'atteggiamento, dal comportamento che davano alla persona la sua specificità che su un'altra poteva avere effetti diversi... E Giuliano non la faceva innamorare. 
All'ultimo appuntamento venne vestito con un elegantissimo completo bianco ed una scatolina con un dono per lei. Quel giorno era seccata, voleva lasciarlo, ma aperta la scatola del regalo si commosse: una lunga collana di cristallo di Murano brillava di luce nella scatola imbottita.
Quella collana la ebbe per tutta la vita, indossandola fino ad essere ormai vecchia, e la figlia, che ebbe da un uomo con lo stesso nome, le costruì una coppia di orecchini da abbinarci di un cristallo simile ma meno splendente.
Rimasero amici, si sentivano per telefono, e lui, un po' per verificare se in lei ci fosse rimasto un interesse sentimentale per lui e un po' per orgoglio, le raccontò di aver avuto fra le braccia una ragazza molto prosperosa che, scivolandole dalle spalle le spalline del costume da bagno, si era ritrovata con il seno nudo. Vera non provò nessuna gelosia, anzi, fu felice per lui sperando che soffrisse il meno possibile del fatto che lei non era riuscita a contraccambiarlo.
Nella sede dell'Azione Cattolica che frequentava assiduamente dai suoi undici anni aveva diverse amicizie. Quello era uno spazio e un luogo dove poteva muoversi con una certa libertà e che suo padre approvava. Un'amica, Caterina, poco più grande di lei, la invitò ad una gita fuori Roma con i suoi ex compagni di scuola: lei era già diplomata in Ragioneria. A quella gita Vera conobbe Roberto. Aveva vent'anni ed era decisamente bello e, apparentemente, fine. Le dimostrò subito un grande interesse e lei se ne innamorò. Era iscritto all'università, aveva un'auto a sua disposizione e vestiva con maglioncini di cachémire. 
Caterina, appreso da lei che si erano messi insieme, ne fu felice. Era una ragazza schietta, simpatica anche se non bellissima, e condividevano con Vera gli stessi valori morali derivanti dall'insegnamento religioso dell'Associazione di cui facevano parte.
La prima crepa su un mondo a Vera sconosciuto si aprì una sera seduti ad un tavolo all'aperto di un bar in Viale Giulio Cesare: a pochi passi dal palazzo dove abitava Vera. Erano le sette di sera e Vera doveva rientrare come sempre alle otto secondo le imposizioni di suo padre, il quale nulla sapeva del fatto che lei aveva un ragazzo né che avesse mai avuto una qualsivoglia relazione sentimentale.
Roberto era da poco rientrato da una vacanza a Parigi e si era tagliata la breve barba che tanto gli donava.
Vera gli chiese come mai. Lui con naturalezza rispose: "L'ho dovuta tagliare perché una zozza mi aveva attaccato i pidocchi del pube."
La ragazza rimase gelata a guardare il bel viso di quel giovane che ora le appariva come se si fosse trasformato improvvisamente in un mostro deforme. Non capiva come potessero esistere "pidocchi del pube" e come potessero essere finiti sulla sua barba.
Con naturalezza, come se fosse normale, egli spiegò che era andato a letto con una "che non si lavava", brutta e con due "prosciutti" per cosce. 
Le volle mostrare anche una foto in bianco e nero dove la tizia, grassa e brutta, stava nuda con lui ed un'altra coppia, tutti e quattro nudi, in un prato.
Vera così scopriva che, pur di fare sesso, quel tipo con l'aspetto così gradevole, si abbassava ad accoppiarsi con chiunque, in un vero abrutimento.
Lei del sesso aveva un'idea tutt'affatto diversa, legato indissolubilmente ad un rapporto profondo di amore e rispetto reciproco.
Eppure non si alzò tornandosene a casa dandogli un addio.. La deformità morale che pure l'aveva disgustata non fu sufficiente a farle troncare quel rapporto.
Passarono così dieci mesi in cui lei provò a lasciarlo tre volte, ma sempre ricadeva in quel rapporto degradante per il sentimento che suo malgrado provava per lui, inspiegabile anche a sé stessa visto che amava un involucro che le aveva svelato di essere ben altro.
Nonostante le insistenze di lui non volle cedere ad avere con lui rapporti sessuali spiegandogli più volte quali erano le sue idee e i suoi principi. Lui si prendeva qualche libertà quando si baciavano che a lei davano imbarazzo e fastidio. Ma riuscì a non perdere i suoi principi.
Si confidò con Caterina attraverso cui l'aveva conosciuto: come poteva essere amica di una persona senza valori morali? Caterina rimase in grande imbarazzo, non sapeva nulla di certi aspetti del suo ex compagno di classe.. Certo anche lei, avendo gli stessi principi di Vera, era turbata. Cercò però di salvare Roberto mostrandosi comprensiva per l'esigenza di lui di avere qualcosa di più di un bacio da lei.. Si mostrò imbarazzata ma più realista di Vera.
Ma Vera lo lasciò definitivamente e partì per la casa delle vacanze in montagna.
Le giunse lì una lettera di Roberto in cui le confidava che gli era morta la nonna, che tanto si era occupata di lui dato che sua madre aveva sempre lavorato, e lui era caduto in una crisi profonda avendolo lei abbandonato ed ora si sentiva attratto da un ragazzo... Era ricaduto in una omosessualità che aveva vissuto ma che credeva superata.
"Anche questo?!" Pensò orripilata la ragazza. Lui le chiedeva aiuto. Lei pensò:  "Ora capisco perché andava anche con donne brutte e pure sporche, per questo vanno bene anche gli uomini!"  E gli rispose con una lettera in cui gli diceva che era un pervertito senza speranza, un malato. Questo pensava e questo gli scrisse: metterlo davanti a sé stesso fu il suo aiuto. 

giovedì 10 luglio 2025

ROMANZO "Con il tempo capirai..." SORPRESE E DOMANDE

 SORPRESE E DOMANDE

Giuliano la invitò ad una festa che lui dette a casa sua. Era molto emozionato ed onorato della sua presenza.
Abitava nel quartiere nuovo della Balduina, dove abitavano altri amici di Vera e dove, dati i costi delle case, gli abitanti erano persone con professioni allora ben remunerate: impiegati di banca, professionisti, impiegati pubblici con ruoli apicali.
Il padre di Giuliano era un Ingegnere del Ministero dei Lavori Pubblici ma, come disse lui a Vera, aveva anche una sua attività privata che consisteva in un commercio di ceramiche con gli USA. La madre era una Dirigente del Ministero della Pubblica Istruzione.
La accolse in un ampio ingresso elegantemente arredato e aprì quello che a casa di Vera era "l'attaccapanni dell'ingresso": una piccola stanza foderata di raso verde damascato di cui una parete era costituita in parte da uno specchio; aprendo la porta imbottita di raso si accendeva automaticamente la luce per illuminare l'interno. 
Vera percepiva l'emozione che suscitava in lui la sua presenza, ma lui non poteva percepire le constatazioni che la sua casa suscitava nella ragazzina: ella misurava la differenza abissale con la sua casa, quindi con la sua condizione.
L'ingresso della sua casa, allocata in un palazzo di età umbertina al quartiere Prati, era in una via molto bella e molto nota ma l'ingresso, costituito solo da un vasto corridoio, aveva un semplice attaccapanni in legno massello con al centro un piccolo specchio, una cassettina chiudibile portaguanti  e portaombrelli inserito, sicuramente più costoso di ben altri arredi di case di persone che abitavano in quel palazzo, tutti piccolo borghesi, ma ad una distanza siderale da quello che i suoi occhi vedevano in quella casa.
La sorpresa successiva fu molto più eclatante e suscitò nella acuta Vera molte domande a cui poté dare risposta anni dopo.
"C'è una festa da Antonio, un mio compagno di classe, compie gli anni. Sono invitato con te, la mia ragazza. E' di pomeriggio quindi non devi chiedere permessi ai tuoi genitori."
In realtà il padre di Vera non l'avrebbe mandata a nessuna festa pomeridiana in casa di nessuno se non conosceva in tutto o in parte la famiglia. Sua madre era diversa, più libera, e riponeva fiducia in quello che faceva sua figlia. Ma Vera si prendeva la sua libertà dicendo bugie non volendo rinunciare a vivere. Così suo padre aveva saputo della festa in casa di Maria Letizia approvando l'andarci di Vera, ma nulla sapeva della festa a casa di Giuliano, né tanto meno a casa di Antonio...
Ma come poteva Vera accontentare la pretesa di suo padre di conoscere ogni famiglia dove si ballava la domenica pomeriggio?
Nulla sapeva neppure del suo filarino con Giuliano, con cui si scambiava solo qualche casto bacio stringendosi un po'...
Si recarono dunque a casa di Antonio per la festa di compleanno dei suoi quindici anni.
Egli abitava nello stesso quartiere di Vera, a pochi passi a piedi dal palazzo umbertino dove lei abitava: Via della Conciliazione. Se Vera andava a piedi a Piazza S. Pietro, molto vicina alla sua abitazione, il portone dove abitava Antonio era quasi sulla piazza. Entrarono in un cortile carrabile costituito da un pavé di sampietrini, sovrastato da una balconata classica in marmo bianco sui tre lati. Salirono al piano della balconata e suonarono ad una grande porta in legno massiccio: aprì una cameriera in divisa nera, grembiulino e crestina bianche. Antonio, molto emozionato, mostrava tutta la sua timidezza: era elegantissimo in un abito scuro giacca e pantalone e risaltavano i suoi capelli biondissimi perfettamente pettinati e impomatati.
Ballarono nell'ampio locale delimitato da uno dei lati della balconata classica che dava sul cortile. Aprirono una delle altissime portafinestre per affacciarvisi quando qualcuno disse: "E' arrivata la madre di Antonio!" Nel cortile videro una limousine e l'autista gallonato che, toltosi il berretto, apriva la portiera alla madre di Antonio..
Per tutto il tempo del ballo la camerierina, sui trenta anni in divisa e crestina sui capelli rossicci, servì bevande rigorosamente analcoliche su un vassoio, uscendo da una enorme porta bugnata in fondo a sinistra di quello che era uno spazio che costituiva l'equivalente di un salone doppio di un appartamento alto borghese.
La sorella più grande di Antonio, Maria, li guardava ballare poggiata accanto ad una delle  finestre che davano sulla balconata del cortile. Era sui vent'anni, magra, bionda anche lei. Guardava molto Vera per il suo aspetto sicuramente molto gradevole ed elegante in uno dei suoi vestiti che disegnava lei stessa, per poi farli realizzare da quelle che lei chiamava affettuosamente le "sue sorelle Fontana", due sorelle pugliesi zitelle che lavoravano e abitavano nella stessa scala dove era la sua casa e il cui cognome iniziava per "F" come le ben più famose sarte.. Le stoffe le sceglieva con cura in un negozio-grottino in Via Cola di Rienzo.
In seguito, colpita da tanta magnificenza, chiese a Giuliano: "Ma che lavoro fa il padre di Antonio?"
"E' funzionario di banca." Rispose Giuliano.
Lei pensò ai molti giovani che abitavano alla Balduina e i cui padri erano funzionari di banca e la distanza, sia pure nel benessere, le sembrava inspiegabile.
Poi Giuliano precisò: "Lavora per la Banca del Vaticano."
Nella giovane ed inesperta mente di Vera si affacciò un primo pensiero che spiegava una parte delle sue perplessità: "Ecco perché abitano in un palazzo che affaccia quasi su Piazza S. Pietro..."
In futuro Vera, lavorando ad un libro edito da Lucarini Editore, scoprì fra i collaboratori di quella Casa Editrice Maria, la sorella di Antonio, che curava una edizione letteraria...
Il mondo è piccolo, pensò.



mercoledì 9 luglio 2025

ROMANZO "Con il tempo capirai..." SCOPERTE E PRIME RIFLESSIONI

 SCOPERTE E PRIME RIFLESSIONI

Non vide più Pietro e il suo modo, che a lei piaceva tanto, di chiamarla "Veva" per via della erre moscia e per il quale le piaceva prenderlo in giro un po' per vendicarsi della sua indifferenza, lo ricordò sempre.

Una sua compagna di classe, che aveva fatto con lei anche le elementari e le scuole medie, ora era con lei anche alle superiori; era di carattere mite, precisa nei compiti, quanto lei, Vera, era invece manesca e dispettosa almeno fino alla fine della scuola elementare.

Non si sa come e perché dunque Maria Letizia le fosse diventata comunque amica e perché le consentisse a volte di andare a casa sua a prendere i suoi quaderni per copiarne alcuni compiti da fare a casa, visto che lei in alcune materie era svogliata e discontinua.

Il non reagire di Maria Letizia la indusse a dispetti meschini, come quella volta che, spostandosi un po' per volta nel banco comune, cercò di farla uscire dall'altra parte non avendo più spazio nel sedile. Ricordò poi per sempre lo sguardo ferito di lei e la sua espressione di mite indignazione che stava per sfociare in pianto.

Eppure Maria Letizia continuò ad esserle amica e a prestarle i suoi quaderni perfetti anche nei primi anni delle scuole superiori.

Abitava nel suo stesso quartiere, in Via Germanico, a pochi passi a piedi da casa sua. Una volta arrivò a prendere in prestito uno dei suoi quaderni, dopo averle preventivamente telefonato chiedendole se poteva darglielo e, prima di suonare il campanello, sentì la voce della sua amica gridare istericamente. Sorpresa, attese che quell'inusitato sfogo finisse, poi suonò. La sua amica si mostrò sorridente e gentile come sempre, non fece trasparire niente dell'agitazione che aveva provocato quello sfogo. Vera non le chiese nulla.

Dopo pensò però, perché era riflessiva e, crescendo, i lati aggressivi del suo carattere stavano lasciando il posto sempre più alla sensibilità e all'empatia verso gli altri.

Maria Letizia aveva un fratello poco più grande di lei, una madre graziosa ed attenta, un padre che girava in mutande per casa anche in presenza di un'amica come lei. Ecco questo fatto l'aveva colpita come una stonatura, perché aveva notato il lieve sorriso di imbarazzo della sua amica quando questo era avvenuto, giacché negli anni '60 del 1900 i costumi erano contenuti e si teneva un certo decoro nell'abbigliamento nelle varie circostanze e nei luoghi. Gli uomini portavano mutande a calzoncino largo, in seguito vennero chiamate boxer ma di taglio più contenuto. Vera pensava che, se suo padre avesse girato per casa davanti ad una sua amica in visita in quella tenuta, lei si sarebbe sentita sprofondare.

Eppure il padre di Maria Letizia aveva sulla targhetta della porta inciso il titolo di Rag. prima del suo nome e, a quell'epoca, insieme a Geom. erano titoli professionali di un certo valore. Il padre di Vera, ad esempio, non aveva nessuno di quei titoli, ed era un semplice impiegato dello Stato. Vera e Maria Letizia, pur abitando entrambe nel medesimo quartiere borghese ed essendo entrambe le loro famiglie proprietarie degli appartamenti che abitavano, l'una abitava in un appartamento più piccolo e meno pregiato rispetto a quello dell'altra.

Di certo Maria Letizia era più sola di Vera, il cui carattere vivace ed intraprendente le consentiva di allacciare amicizie anche al di fuori di quelle della classe e questo la salvava da una situazione familiare in parte infelice per i dissapori fra i suoi genitori, dovuti a fragilità psicologiche di suo padre e psichiatriche di sua madre.

Avvenne così che un giorno che Maria Letizia l'attendeva sul portone ad un'ora che avevano preventivamente concordato per andare insieme al cinema, Vera scese e non ve la trovò. L'attese pensando ad un contrattempo sapendola molto precisa. Ma l'attesa si prolungò fino ad una mezz'ora e Vera risalì in casa e telefonò: le rispose strillando la sempre gentile e sorridente mamma della sua amica dicendo indignata che "Maria Letizia non aveva bisogno della sua amicizia per quello che le aveva detto sua madre scendendo sul portone mentre lei la stava aspettando.. e sua figlia era tornata a casa in lacrime!" La povera Vera riuscì così a capire a stento in quel fiume in piena che sua madre, nei suoi frequenti irrequieti andirivieni a cui lei nemmeno più faceva caso, era uscita non per fare una delle sue rapide passeggiate o visite alla vicina Chiesa, ma vedendo la timida Maria Letizia già in attesa sul portone l'aveva apostrofata dicendole che "Vera non aveva bisogno di amici, aveva sua madre, non c'era bisogno dunque che lei l'aspettasse!" 

Fu Vera a quel punto a scoppiare in lacrime al telefono cercando di rimediare all'ennesimo problema che la patologia di sua madre le provocava. Non fu facile svelare qualcosa che, pur nell'amicizia che durava da tanti anni, era non palesemente visibile, giacché la patologia di sua madre si manifestava in azioni rare ed anomale, quanto imprevedibili, come questa che aveva vissuto Maria Letizia, e che creavano a lei problemi e dolore. Si scusò più volte, disperata, nel tentativo di recuperare quell'amicizia a cui teneva. La signora sembrò capire, certo "non si vedeva" il disturbo di sua madre, sembrando del tutto normale.. Certo sua madre andava ai colloqui con le maestre prima e con i professori poi, non essendoci suo padre mai andato.. Per fortuna la patologia di cui soffriva sua madre non aveva danneggiato totalmente la sua personalità né la sua intelligenza e nemmeno l'affettività, ma c'era e si manifestava in comportamenti immotivati ed incongrui.

Vera soffrì molto, dispiaciuta per la sua amica, per il dispiacere che sua madre le aveva provocato senza senso e senza motivo.. Si sentì umiliata di doversi scusare e di dover dare tutte quelle spiegazioni fra le lacrime al telefono, ma riuscì a recuperare quell'amicizia e quell'amica a cui voleva bene.

Accadde poi che Maria Letizia stesse male con "l'acetone" e Vera l'andò a trovare. Era a letto, la pelle del viso giallina.. La mamma si mostrò gentile, forse aveva capito davvero il dramma dell'amica di sua figlia. Vera era dispiaciuta che la sua amica stesse male: nonostante i temperamenti molto diversi Vera, dopo quell'episodio traumatico, aveva scoperto quanto le volesse bene. 

Fu a casa di Maria Letizia, che dette una festa per il suo compleanno, come si usava allora nelle famiglie della piccola, media ed alta borghesia, che Vera conobbe Giuliano. Fra gli invitati c'era suo cugino, che aveva un cognome buffo, Zampone, e un suo compagno di liceo: appunto Giuliano.

Aveva solo sei mesi più di Vera e rimase colpito dal suo aspetto: indubbiamente era molto carina e fine e piaceva molto ai ragazzi. Anche Giuliano era carino, dai modi molto fini. Lei accettò di rivederlo e fecero qualche passeggiata insieme, né più né meno di quelle che faceva prima con Pietro e Mario.

Ma lui si era innamorato di lei ma lei non di lui. Ciò nonostante accettò quando lui le chiese se "voleva essere la sua ragazza".

Le piaceva la sua dolcezza, i suoi modi educatissimi e lo baciò volentieri apprezzando le sue labbra morbidissime: baci senza lingua, bellissimi.



giovedì 3 luglio 2025

L'amico ritrovato - di Fred Uhlman

Per caso, non conoscendo assolutamente l'Autore, ho scoperto questo gioiellino letterario.
Non compero più da IBS per la stupidità di chi organizza la promozione delle vendite. Dopo almeno tre volte in cui mi mandavano sconti inserendo un codice nell'ordine ed è capitato che tale codice non si capiva con quale sequenza, secondo loro, doveva essere inserito e nei passaggi è capitato che l'ordine sia repentinamente partito senza sconto, né sia stato possibile annullarlo nell'immediato, ho desistito dall'essere uno dei loro clienti più assidui. L'ho anche segnalato al Servizio Clienti spiegando come fosse inutile assegnarmi il top della classifica dei migliori acquirenti, se poi questo beneficio si deve tradurre in sconti ottenibili mediante codici da inserire "non adesso", "non prima", ma solo ad un certo punto dell'ordine, punto mai chiaro nella sequenza.
Ho dunque trovato questo gioiellino in libreria. Una Edicola-Libreria di Sabaudia. Non ho più l'età e la forza di poter girare per le librerie di Roma come un tempo.. Un piacere a cui ho rinunciato anche per l'impraticabilità della mia città, ormai ridotta ad un carnaio di auto, metallo e persone, riservandomi, appunto, l'ordinare on-line ricevendo i libri a casa. IBS-La Feltrinelli ha rovinato questa comodità con i suoi giochetti sugli sconti di cui, peraltro, non sentivo il bisogno, dato che non vado dal parrucchiere se non ogni due anni, dall'estetista sono andata solo una volta in vita mia quando avevo meno di 30 anni, e non mi compero vestiti da molto tempo e quelli che mi compero sono a saldo o del mercatino settimanale. Quindi spendo ogni due, tre mesi, una trentina di euro in libri.
Nello stand della Libreria di Sabaudia ho scelto questo Autore sconosciuto le cui note biografiche sul retro di copertina dicevano che era nato a Stoccarda, ed un altro altrettanto a me sconosciuto nato ad Istanbul: Pamuk.
A casa ho poi scoperto che Uhlman è ebreo e Pamuk ha preso il Nobel per la letteratura.
Ora il Nobel mi spiace ma non garantisce il valore di quel che mi trovo a leggere: l'ho già scritto. Doris Lessing, Yasunari Kawabata ne sono un esempio. Ho letto un loro libro e mai piu'.. Non mi è piaciuta la scrittura, non mi ha trasmesso alcuna emozione, alcuna riflessione profonda.
Mentre questa meravigliosa storia di Uhlman, un'amicizia  fra due adolescenti tedeschi, uno ebreo della buona borghesia e l'altro di antica nobiltà germanica, è un piccolo capolavoro nella descrizione psicologica dei personaggi, nelle loro reazioni che ho sentito personalmente comprensibili in me, per la mia psicologia, come per la descrizione della miseria umana di ieri, di oggi e di sempre, che ho scoperto in giovane età in altri contesti, con altre motivazioni, ma sempre miseria dell'animo umano che cerca solo pretesti per manifestarsi.
Inevitabilmente c'è dell'autobiografismo, anche se la storia di Fred Uhlman ebreo cittadino tedesco di Stoccarda come il protagonista di questo libro, è diversa per vari aspetti, ma non nella sostanza: l'aver dovuto abbandonare la propria Patria per l'insensatezza folle e barbara di leggi inimmaginabili...
Il libro del Nobel Pamuk lo sto leggendo... Ma non so se varrà la pena di parlarne.. Lo saprò alla fine. Per ora, dato che è il primo scrittore turco che leggo, sto immergendomi nella mentalità della società turca degli anni '70, nella sua conoscenza: sono gli anni della mia giovinezza in Italia, vedrò differenze e paragoni...
Fred Uhlman





venerdì 6 giugno 2025

Ritratto di Signora di Henry James

Non avevo mai letto nulla di questo scrittore, americano di nascita ma vissuto molto in Gran Bretagna, e si sente, tanto da assorbirne la mentalità.
Scrive con uno stile senz'altro elegante tanto che, pur io avendo letto tanto nella mia vita, a 79 anni scopro parole che non conoscevo: ad esempio pondo. La Treccani ne dà le varie definizioni a seconda del senso in cui tale parola viene usata, nel caso in questione è senz'altro "Fatica, impegno gravoso, che comporta obblighi e responsabilità".
Il libro, poderoso, sono 744 pagine, si prefigge quello che annuncia nel titolo: la descrizione di una donna americana della fine dell'ottocento. L'ambiente in cui la colloca è un ambiente borghese, ricco, in una famiglia di origine borghese in cui il padre ha sperperato la loro fortuna. Delle tre figlie ella è quella che passa il tempo a leggere i libri della biblioteca familiare, scampati alla rovina, e per questa attitudine in famiglia viene ritenuta una intellettuale, una specie di genio.
Nella sua vita di giovane ragazza senza impegni di lavoro e forse un poco noiosa irrompe una sua zia materna, molto facoltosa, che la prende sotto la sua ala quasi a voler risarcire la sua sorella sfortunata e ormai defunta.
La zia ama viaggiare, la sua casa di base è in Gran Bretagna dove vivono suo marito, un banchiere ricchissimo, e il suo unico figlio Ralph malato di tisi.
Ella si prefigge di far girare l'Europa alla nipote, in modo da farle aprire gli occhi sul mondo e darle così, conoscendo stili di vita diversi, la realtà e completare così la maturazione della sua bella intelligenza, almeno così appare alla munifica zia.
Indubbiamente la nostra eroina, come la definisce lo stesso scrittore, è molto bella e questo, come diceva mia nonna Giulia Spinetoli, è già una ricchezza che apre molte porte. Infatti giunte nella dimora inglese della zia ella incanta il vecchio e malandato banchiere molto trascurato dalla moglie giramondo, e fa innamorare segretamente il cugino Ralph, il quale, sensibile ed intelligente, non nutre alcuna idea speranzosa su di lei, ma l'ammira in silenzio ritenendola, come le sue sorelle rimaste a vivere negli Stati Uniti, una specie di genio a cui il mondo potrà offrire la possibilità di esprimere i suoi talenti.
Isabel, così si chiama la fortunata giovane, ha indubbiamente belle doti di carattere: è sensibile, intuitiva, sa ascoltare e parlare in modo intelligente e mai banale.
Un amico di Ralph che frequenta la dimora degli zii, un Lord, si innamora di lei e ne chiede la mano. Oltre ad essere ricchissimo e di antico casato ha tutto il prestigio che un Lord ha in una nazione come la Gran Bretagna che ha una Camera dei Lord.
Isabel più che onorata è molto in imbarazzo per questa richiesta di matrimonio, anche perché si sente pressata da un altro spasimante che lei tiene a bada da almeno un anno, un ricchissimo americano, molto laborioso, che l'ama al punto di prendere la nave e raggiungerla in Inghilterra per convincerla a sposarlo. Lei gli ha già risposto che non intende sposarsi con nessuno, ritenendo la sua libertà quanto di più prezioso esista e le consenta di esprimere sé stessa nel mondo senza chiudersi nella formalità di una vita coniugale.
Ora bisogna contestualizzare tutta la vicenda per capire tutti gli aspetti delle scelte dei personaggi: siamo alla fine dell'ottocento quando poche donne lavoravano, molte spinte dal bisogno in servizi o artigianato, mentre chi proveniva da ambienti borghesi come destino aveva un matrimonio, un buon marito, una sistemazione..
Quando Isabel esprime il suo rifiuto a rinunciare alla sua libertà fa  da una parte un'impressione di stranezza per i tempi ed i costumi, dall'altra desta ammirazione soprattutto in suo cugino, forse anche perché innamorato di lei e sa che non potrà mai sperare di legarla al suo destino di condannato a morte.
Siamo, come detto, alla fine dell'ottocento, secolo in cui la tisi mieteva molte vite.
Ma se paragono il mondo ottocentesco di Henry James con il mondo coevo descritto da tanti altri scrittori che ho letto non posso non fare alcune riflessioni: ad esempio Emile Zola, nato a Parigi nel 1840 e morto nel 1902, mentre James nasce a New York nel 1843 e muore nel 1916. 
Entrambi descrivono il mondo, gli uomini del loro tempo, che è lo stesso tempo...
Ma Zola descrive un mondo di lavoratori, in situazioni estreme come le miniere di carbone, oppure i bottegai di Parigi, donne e uomini che lottano per vivere. Donne che lavorano nelle gallerie delle miniere, oppure donne che si rimboccano le maniche e da lavandaie mettono su una piccola ma proficua attività..
Nel libro che sto ancora leggendo c'è gente che non fa nulla tutto il giorno, ha sempre una cameriera anche per servire il thé... Ma si definisce "povera" come il nullafacente Osmond! Gente che si misura a rendite: quanta rendita ha all'anno!
Quale è il concetto di povertà nel mondo descritto da James?
La povertà è vera e viva nel mondo di Zola!
Che gente è mai questa che si muove nel "Ritratto" la quale vive di chiacchiere nei salotti, viaggia in continuazione vivendo una stagione a Parigi, un'altra a Roma, poi a Londra, quando non gira verso l'oriente? Insulsa, gente chiusa in un mondo di manierismo, tipicamente inglese. Gente che muove l'aria intorno a sé spendendo il suo tempo nell'ammirare oggetti stile Louis quatorze, o porcellane di Sévres, o ninnoli più o meno preziosi... Per non parlare del personaggio di Madame Merle, vedova di un commerciante svizzero, che vive di una "piccola rendita" e scroccando ospitalità nelle ricche case di amicizie che ha in tutta Europa, e intriga con l'inutile Osmond, cosa che mi ha fatto pensare che James deve aver letto "Les liaison dangereuses" facendosene un poco influenzare, come accade ad ogni scrittore.
Potrei continuare con altri scrittori coevi di James che descrivono un mondo ancora diverso a riprova che esistevano allora come adesso mondi differenti che coabitavano lo stesso pianeta.
Lo scrittore a poco a poco fa intuire che Isabel, grandemente fortunata avendo ricevuto dallo zio acquisito, e mai conosciuto prima di arrivare in Europa al seguito della moglie di lui, una eredità non dovuta, ma suggerita al padre morente da Ralph, di ben 70.000 Lire Sterline, diventata ricchissima, invece di usare la sua fortuna per fare grandi cose, come sembrava promettere agli occhi di chi l'ha beneficata, sposa l'insulso e falso Osmond, "povero" che ama vivere in mezzo alle cose belle, dopo aver rifiutato un Pari di Inghilterra, un vero gentiluomo bello e prestante!
Osmond è vedovo ed ha anche una figlia 15enne.
Così, dopo aver rifiutato uomini di prestigio ricchissimi, anche lo spasimante americano lo è, la geniale Isabel delude tutti rinunciando alla sua asserita libertà per chiudersi in un matrimonio deludente e limitante.
Direi che il titolo avrebbe dovuto essere: "Ritratto di Signora sopravvalutata"!



sabato 31 maggio 2025

ROMANZO "Con il tempo capirai..." IL TEMPO PRIMO

 IL TEMPO PRIMO

Il tempo Vera l'aveva avuto ed era riuscita ad arrivare quasi alla fine senza rinunciare a sé stessa, a quello che le appariva giusto.

Gran parte della giovinezza l'aveva trascorsa nel dubbio che quello che pensava lei su qualcosa fosse sbagliato, che bisognava tener conto del parere o dell'opinione di qualcun altro. Alla verifica poi si accorgeva che il suo punto di vista era quello giusto.

Capitava, si, che apprendesse qualcosa di nuovo che non conosceva ed era pronta a correggere il suo pensiero grazie a quella esperienza che le veniva da altri. Era crescere. Ma le era insopportabile cambiare un suo pensiero accettando un'altrui opinione per poi scoprire che aveva ragione lei e l'aver abdicato ad una cosa giusta per una sbagliata detta da altri la faceva arrabbiare con sé stessa.

Come quella volta che delle amiche e compagne di scuola insistettero con sicurezza che la parola "harem" non si pronunciava con l'acca muta, ma "carem", e lei dubbiosa cedette e pronunciò quella parola come dicevano loro provocando l'ilarità dei due amici con cui usciva facendo lunghe passeggiate pomeridiane, entrambi liceali del prestigioso Liceo "Righi" di Roma: era il 1961.

Il tempo è importante per capire. Il "Righi" del 1961 non è certo il "Righi" dei decenni dopo il 1968: scioperi e occupazioni, muri imbrattati e assemblee a parlare di niente per ore ed ore, al posto delle lezioni e dello studio, esami sempre meno rigorosi fatti da professori intimiditi, Presidi presi a calci e autorità umiliata...
I due amici di Vera erano liceali con la cultura che dava un buon liceo scientifico e, per quanto lei leggesse e fosse sensibile ad ogni aspetto culturale, era pur sempre una studentessa di un Istituto Professionale e questo spiega il suo piegarsi agli strafalcioni di certe sue compagne di studi.
Via via però acquistò sempre più fiducia in sé stessa e nelle sue opinioni, assorbiva tutto quello che le arrivava dalle letture e dalla vita quotidiana filtrando con la sua bella intelligenza quel fiume di informazioni.
Dei due amici che l'accompagnavano in lunghe passeggiate per le vie di Roma, non ogni giorno, perché bisognava studiare, uno le piaceva molto, il più brutto e con la erre moscia.
C'era in lui qualcosa che la fece innamorare: era alto e magro, il viso dai tratti irregolari era sensibile ed esprimeva intelligenza e finezza, i gesti eleganti e il porsi asciutto. L'altro era più alto di Pietro, il viso regolare, la figura magra ma atletica. Eppure Vera si innamorò di Pietro che la trattò sempre con distaccata ironia, mai coinvolto come invece forse lo era l'altro verso di lei e, subdorando l'innamoramento di lei per Pietro, un giorno la prese per il collo fingendo uno scherzo e la strinse così forte che lei credette di morire lì, sul marciapiede di Via Ferrari, con la gente che passava indifferente e Pietro che li guardava senza fare nulla.
Poi un giorno che, felice lei, Mario non c'era e passeggiavano da soli Pietro le disse: "Mario è molto triste perché suo padre deve trasferirsi in Sicilia per il suo lavoro e lui deve andare con la famiglia e lasciare Roma." Vera non provò alcun dispiacere a questa notizia. Ma ne provò insieme a delusione e gelosia quando, approfittando dell'essere finalmente soli, provò a sondare un poco l'animo del suo amico ponendogli qualche domanda più intima, se si fosse mai innamorato e lui le rispose di sì, durante una vacanza al mare, ad Alassio: "Era una ragazza di Padova, -e nel parlarne Vera sentì che ne era ancora preso dall'emozione che gli strinse un poco la gola, ed a lei si strinse invece il cuore - una ragazza abbastanza alta, senza trucco... Si tuffava con uno stile... Nuotava benissimo..
Vera pensò con lucido dolore che quella ragazza era lontana da ciò che era lei: non sapeva nuotare e si aggrappava solo al suo grazioso aspetto fisico che cercava di valorizzare con un minimo trucco e vestiti che sceglieva lei, di buon gusto, ma sempre molto femminili... Era altro l'ideale di Pietro.
"Perché non cerchi di rivederla allora..?"
Chiese scavando masochisticamente nel suo dolore.
"Padova è lontana - fece lui amaro ora che l'immagine della ragazza amata era stata evocata - ..come fai?"
Continuarono comunque le loro amichevoli passeggiate finché un giorno lei lo chiamò al telefono perché era un po' che non lo sentiva e seppe che gli era morto il padre.
Fu un colpo al petto e cercò le parole migliori per comunicargli i sentimenti che una simile notizia le suscitava: " E' terribile.." Furono le parole che le uscirono pensando che Pietro aveva 17 anni e dunque suo padre, un avvocato, probabilmente ancora in età non avanzata. Peraltro Vera era attaccatissima al suo di padre ed un simile evento era per lei terrorizzante.
Lasciò passare qualche mese poi lo richiamò per sapere come stava.
"Non ti ho chiamato per rispettare questo tuo momento difficile... Gli disse affettuosamente. Ma la risposta secca di lui la gelò: "Hai fatto bene."
Non lo chiamò mai più.
Un giorno che passeggiava con delle amiche per Via Oslavia lo vide fare altrettanto dall'altra parte del marciapiede con due o tre amici: si salutarono, lei ferita dalla sua indifferenza ma difesa dal proprio amor proprio, lui ironico ma non totalmente indifferente guardando quella figuretta sempre molto carina e attraente nonostante la sua ostentata indifferenza.

 

venerdì 10 gennaio 2025

NON PIU' IL DOMINIO MA RESTA IL BLOGSPOT

 Il bravissimo System Manager Fabrizio Castelli, che tante volte mi ha aiutato con i suoi preziosi suggerimenti, su mia decisione di non rinnovare il Dominio per i motivi che ho pubblicato in diversi Post, mi ha dato un ennesimo prezioso suggerimento:Buongiorno Rita e buon anno anche a te! Sì, ti confermo che il tuo blog rimarrà comunque online all'indirizzo .blogspot.com che aveva prima di acquistare il dominio; dovrai solo scollegarlo dal dominio che non rinnoverai dalle "Impostazioni" di Blogger.

🌐 fabriziocastelli.net