IL TEMPO PRIMO
Il tempo Vera l'aveva avuto ed era riuscita ad arrivare quasi alla fine senza rinunciare a sé stessa, a quello che le appariva giusto.
Gran parte della giovinezza l'aveva trascorsa nel dubbio che quello che pensava lei su qualcosa fosse sbagliato, che bisognava tener conto del parere o dell'opinione di qualcun altro. Alla verifica poi si accorgeva che il suo punto di vista era quello giusto.
Capitava, si, che apprendesse qualcosa di nuovo che non conosceva ed era pronta a correggere il suo pensiero grazie a quella esperienza che le veniva da altri. Era crescere. Ma le era insopportabile cambiare un suo pensiero accettando un'altrui opinione per poi scoprire che aveva ragione lei e l'aver abdicato ad una cosa giusta per una sbagliata detta da altri la faceva arrabbiare con sé stessa.
Come quella volta che delle amiche e compagne di scuola insistettero con sicurezza che la parola "harem" non si pronunciava con l'acca muta, ma "carem", e lei dubbiosa cedette e pronunciò quella parola come dicevano loro provocando l'ilarità dei due amici con cui usciva facendo lunghe passeggiate pomeridiane, entrambi liceali del prestigioso Liceo "Righi" di Roma: era il 1961.
Il tempo è importante per capire. Il "Righi" del 1961 non è certo il "Righi" dei decenni dopo il 1968: scioperi e occupazioni, muri imbrattati e assemblee a parlare di niente per ore ed ore, al posto delle lezioni e dello studio, esami sempre meno rigorosi fatti da professori intimiditi, Presidi presi a calci e autorità umiliata...
I due amici di Vera erano liceali con la cultura che dava un buon liceo scientifico e, per quanto lei leggesse e fosse sensibile ad ogni aspetto culturale, era pur sempre una studentessa di un Istituto Professionale e questo spiega il suo piegarsi agli strafalcioni di certe sue compagne di studi.
Via via però acquistò sempre più fiducia in sé stessa e nelle sue opinioni, assorbiva tutto quello che le arrivava dalle letture e dalla vita quotidiana filtrando con la sua bella intelligenza quel fiume di informazioni.
Dei due amici che l'accompagnavano in lunghe passeggiate per le vie di Roma, non ogni giorno, perché bisognava studiare, uno le piaceva molto, il più brutto e con la erre moscia.
C'era in lui qualcosa che la fece innamorare: era alto e magro, il viso dai tratti irregolari era sensibile ed esprimeva intelligenza e finezza, i gesti eleganti e il porsi asciutto. L'altro era più alto di Pietro, il viso regolare, la figura magra ma atletica. Eppure Vera si innamorò di Pietro che la trattò sempre con distaccata ironia, mai coinvolto come invece forse lo era l'altro verso di lei e, subdorando l'innamoramento di lei per Pietro, un giorno la prese per il collo fingendo uno scherzo e la strinse così forte che lei credette di morire lì, sul marciapiede di Via Ferrari, con la gente che passava indifferente e Pietro che li guardava senza fare nulla.
Poi un giorno che, felice lei, Mario non c'era e passeggiavano da soli Pietro le disse: "Mario è molto triste perché suo padre deve trasferirsi in Sicilia per il suo lavoro e lui deve andare con la famiglia e lasciare Roma." Vera non provò alcun dispiacere a questa notizia. Ma ne provò insieme a delusione e gelosia quando, approfittando dell'essere finalmente soli, provò a sondare un poco l'animo del suo amico ponendogli qualche domanda più intima, se si fosse mai innamorato e lui le rispose di sì, durante una vacanza al mare, ad Alassio: "Era una ragazza di Padova, -e nel parlarne Vera sentì che ne era ancora preso dall'emozione che gli strinse un poco la gola, ed a lei si strinse invece il cuore - una ragazza abbastanza alta, senza trucco... Si tuffava con uno stile... Nuotava benissimo..
Vera pensò con lucido dolore che quella ragazza era lontana da ciò che era lei: non sapeva nuotare e si aggrappava solo al suo grazioso aspetto fisico che cercava di valorizzare con un minimo trucco e vestiti che sceglieva lei, di buon gusto, ma sempre molto femminili... Era altro l'ideale di Pietro.
"Perché non cerchi di rivederla allora..?"
Chiese scavando masochisticamente nel suo dolore.
"Padova è lontana - fece lui amaro ora che l'immagine della ragazza amata era stata evocata - ..come fai?"
Continuarono comunque le loro amichevoli passeggiate finché un giorno lei lo chiamò al telefono perché era un po' che non lo sentiva e seppe che gli era morto il padre.
Fu un colpo al petto e cercò le parole migliori per comunicargli i sentimenti che una simile notizia le suscitava: " E' terribile.." Furono le parole che le uscirono pensando che Pietro aveva 17 anni e dunque suo padre, un avvocato, probabilmente ancora in età non avanzata. Peraltro Vera era attaccatissima al suo di padre ed un simile evento era per lei terrorizzante.
Lasciò passare qualche mese poi lo richiamò per sapere come stava.
"Non ti ho chiamato per rispettare questo tuo momento difficile... Gli disse affettuosamente. Ma la risposta secca di lui la gelò: "Hai fatto bene."
Non lo chiamò mai più.
Un giorno che passeggiava con delle amiche per Via Oslavia lo vide fare altrettanto dall'altra parte del marciapiede con due o tre amici: si salutarono, lei ferita dalla sua indifferenza ma difesa dal proprio amor proprio, lui ironico ma non totalmente indifferente guardando quella figuretta sempre molto carina e attraente nonostante la sua ostentata indifferenza.